Festa del 60° della ASD Giovanni XXIII

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Il taglio del nastro.
Rino Gallotti presente alla prima gara della G.XXIII nel settembre del 1965 taglia il nastro e dà ufficialmente inizio al torneo e alla festa del 60°
La targa celebrativa

Quest’anno, per celebrare in grande stile il 60° anniversario della fondazione della Associazione sportiva Dilettantistica Giovanni XXIII (in breve, G.XXIII), dal 26 maggio e l’8 giugno abbiamo dedicato ai nostri atleti due intere settimane di tornei: volevamo coinvolgerli tutti in questa festa, vederli correre sul campo, ma anche partecipare alla realizzazione e alla gestione, impossibile senza il loro aiuto e quello delle loro famiglie, affinché la crescita sportiva potesse accompagnarsi a una crescita umana in uno spirito di servizio e gratuità basati sull’esempio virtuoso. Moltissimi si sono messi a disposizione, anche tra coloro che hanno fatto parte della G.XXIII in un passato prossimo o remoto e hanno attaccato le scarpe al chiodo qualche decennio fa: chi cucinava le salamelle e chi le distribuiva, chi faceva la spesa e chi si dedicava alle pulizie, chi sistemava il campo e chi arbitrava, tutti compiti necessari, che sono più leggeri se fatti insieme.

Tra attenta pianificazione ed estrosa improvvisazione più di 500 bambini, ragazzi e giovani appartenenti a 34 squadre di Milano e provincia sono scesi sul campo a 7 di via del Canzi e su quello a 11 di via Pitteri per disputare 31 gare, incluse le finali. Dai più piccoli della scuola calcio ai maggiorenni della Top Junior tutte le compagini della G.XXIII sono state rappresentate e hanno trovato uno spazio dedicato, portando con sé agonismo e fantasia, gioia e passione, sostenuti da un tifo caldo e costante. Oltre alla coppa relativa alla posizione conquistata, tutti gli atleti hanno ricevuto un riconoscimento: non vincitori e vinti, ma ciascuno protagonista dell’evento e una medaglia al collo in ricordo della partecipazione a questa  festa. Era il capitano della squadra, incariato dagli organizzatori, a chiamare per nome ogni singolo compagno per consegnargli personalmente la medaglia e concedergli gli applausi del pubblico.

Spesso, dopo la gara, le squadre hanno posato per le foto ricordo mischiando maglie e colori, e si sono ritrovate a mangiare fianco a fianco nei punti ristoro allestiti dai volontari. Così, le salamelle, le lasagne e gli arrosticini continuavano l’esperienza sul campo facendo, come il pallone, da catalizzatori per fare gruppo, condividere le esperienze o semplicemente stare insieme. Sotto il sole del pomeriggio o i riflettori e il chiaro di luna della sera, le partite si susseguivano a ritmo tambureggiante; gli atleti venivano rifocillati e potevano usufruire anche dei campi di calcetto, pallacanestro e pallavolo, gremiti da sportivi di ogni età. Qualcuno preferiva le sfide a bigliardino, nel solco della tradizione oratoriana; altri si riposavano semplicemente all’ombra dei gazebo, con una bibita o un ghiacciolo.

Abbiamo vissuto due settimane intense di sport e aggregazione, impreziosite da alcuni eventi di particolare rilievo. C’è stata l’occasione di ascoltare buona musica dalle voci educate della scuola di canto VMS che hanno riempito di sonorità avvolgenti gli spazi e abbracciato il pubblico. Una trentina tra musicisti e cantanti sono saliti sul palco e si sono esibiti suscitando l’entusiasmo di oltre un centinaio di persone che ascoltavano, cantavano e si muovevano a ritmo. Basso, chitarra, tastiera e batteria creavano il contesto in cui le voci interpretavano canzoni famose, portate al successo negli ultimi anni. In chiusura vi è stato anche spazio per qualche melodia di un passato meno prossimo, motivi noti e ritmati che hanno soddisfatto anche gli spettatori più maturi. Al termine del concerto, gli studenti del terzo anno hanno ricevuto il diploma in uno scroscio di applausi e cori a coronamento di un percorso e di una serata da ricordare.

Se il sabato sera è stato dedicato alla musica, la domenica mattina abbiamo organizzato un convegno in cui vari personaggi del mondo dello sport si sono confrontati sul senso di appartenenza e di attaccamento alla maglia, peculiarità ancora attuali, da valorizzare e proporre ai giovani. Ospiti d’eccezione per una piccola realtà di periferia come la nostra sono stati Pierluigi Marzorati, bandiera storica della Pallacanestro Cantù, Mario Beretta, ex allenatore di serie A e docente a Coverciano e don Alessio Albertini, già consulente ecclesiastico nazionale del Centro Sportivo Italiano e fratello maggiore del celebre calciatore.ù

Sapientemente sollecitati da Luigi Garlando, giornalista e scrittore cresciuto in zona e con una significativa militanza nella G.XXIII, i relatori sono partiti dalla loro esperienza sportiva in oratorio e hanno spaziato su temi sportivi, educativi e sociali. Hanno concordato unanimemente sul fatto che nel mondo virtuale che ormai li avvolge e li assorbe completamente, i ragazzi si dipingono perfetti per soddisfare standard molto (troppo) alti e non accettano le imperfezioni, i dinieghi e gli insuccessi, compensando talvolta con casi di disonestà e violenza. Questo paradigma va ribaltato perché lo sport è primariamente divertimento per chi scende in campo, per chi siede in panchina e per chi fa il tifo sugli spalti, non un insieme di comportamenti scorretti, fisici e verbali, con l’intento di prevalere a tutti i costi. Per questo gli oratori hanno insistito sull’aspetto educativo delle sconfitte, oggi causa di frustrazione e ansia soprattutto se confrontate con falsi modelli e miti virtuali; esse devono aiutare a crescere e ad affrontare meglio le sfide successive dello sport e della vita. Questa lezione va fatta propria, riproposta con convinzione e autorevolezza agli atleti di ogni età, portando la propria esperienza e citando testimoni d’eccezione, come ad esempio grandi campioni del calibro di Michael Jordan e Roger Federer che hanno contato i tiri sbagliati e sono diventati dei campioni assoluti perché da ogni errore a canestro, da ogni pallina in rete hanno tratto un insegnamento. Educhiamo i ragazzi a dare il massimo e ad uscire dal terreno di gioco soddisfatti per quello che hanno fatto; se poi la gara sarà vittoriosa, tanto meglio, altrimenti impariamo non a perdere, ma dal perdere. Passando a uno sport all’altro, la prima cosa che si impara sul Tatami è a cadere, non perché condannati alla sconfitta, ma per non farsi male e rialzarsi prontamente. L’oratorio era gremito e circa duecento persone hanno ascoltato i racconti e le riflessioni e anche riso di gusto alle colorite battute e bisticci calcistici che ogni tanto infiammavano gli ospiti – tifosi.

A conclusione della festa, la messa di Pentecoste celebrata all’aperto, a fianco dei campi di gioco, ha sancito la nostra appartenenza e il nostro orizzonte. Il parroco don Stefano ha affermato che a San Paolo sarebbe piaciuto il calcio quale sport di squadra e, commentando la lettera ai Corinzi, lo ha paragonato alla comunità cristiana, dove ognuno ha un ruolo, un carisma e tutti hanno la stessa dignità. Lo Spirito fa il corpo, che è la chiesa, e ciascuno si prende cura del corpo perché abbiamo tutti lo stesso Spirito e meritiamo di prenderci cura uno dell’altro. Se siamo migliori nella fede, facciamo più squadra, cioè più chiesa e, proseguendo con il parallelo, l’atteggiamento verso la comunità deve essere positivo, come con i compagni, perché chi entra in campo arrabbiato, non giocherà bene, potrà commettere più facilmente fallo e mancherà di aiutare la squadra.
Nella preghiera universale abbiamo invocato lo Spirito di Fortezza per sostenere il nostro impegno educativo a favore dei piccoli atleti, ognuno secondo il proprio carisma, e pregato per chi si è speso con generosità e ora ci guarda dal Cielo: grazie per aver costruito qualcosa di grande; ora tocca a noi custodirlo.

Riccardo

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