
Carissimi amici, come oramai sapete dall’inizio di settembre l’Arcivescovo mi ha destinato a un altro incarico. Il nostro rapporto è così destinato a trasformarsi.
Sono stati sei anni, per certi versi molto complessi: il primo anno di ambientamento, non facile perché venivo da un altro contesto ambientale e pastorale; poi il covid che ci ha portato a vivere in una sorta di limbo quando invece si doveva decollare. Infine la comunicazione di Mons. Azzimonti che a fine duemilaventi affermava l’intenzione di allargare la CP, che conteneva un aumento di responsabilità che in quel momento non mi sono sentito di assumere.
Nonostante tutto però, voi mi siete diventati cari, le vostre strade mi sono diventate care, le vostre case mi sono diventate care. Quando non devo celebrare la Messa al mattino, mi piace camminare verso il Politecnico ed è uno spettacolo vedere la città svegliarsi: con gli adulti che prendono i tram per andare a lavorare e gli studenti che si avviano alle medie Cairoli , al liceo Pascal e all’università: è proprio un colpo d’occhio di speranza!
Come dice il proverbio “partire è un po’ morire”; e in effetti, anche questo trasloco mi costringerà all’elaborazione del lutto. Tuttavia c’è sempre una pagina del Vangelo che mi suona nel cuore e mi consola profondamente. Nel Vangelo di Luca, capitolo quarto, Gesù fa molti miracoli a Cafarnao. Ma la mattina presto, dopo aver pregato il Padre, Egli se ne va via di nascosto. Tuttavia le folle lo raggiungono e lo vogliono trattenere. Ma Gesù in modo solenne dice loro “Bisogna che io annunzi il Regno di Dio in altre città: per questo sono stato mandato” (Lc 4,43).
Faccio mie queste parole: proprio perché comincio a sentirmi (troppo) a casa a Lambrate, è giunto il momento di andare: il Vangelo deve correre, anche attraverso di me, in altre parti.
Ora il momento dei ringraziamenti: non vorrei dimenticare nessuno per l’attenzione avuta nei miei confronti e di mia mamma e quindi mi limito ad alcuni saluti molto particolari: don Saggin, amico di una vita che ha avuto la pazienza di avere il suo predecessore, con tutto il portato di fatica che questo significa, per due lunghi anni; don Fabio e don Alessandro con cui abbiamo condiviso la conclusione della prima CP e l’inizio della nuova; don Oscar che mi ha edificato per la sua capacità di dedizione al mondo della sofferenza e alla liturgia; il diacono Volpi, i coniugi Cinquanta che si sono presi cura della mia persona; il circolo Acli nella persona del Presidente Casati con il quale abbiamo condiviso un articolato e interessantissimo percorso culturale.
E ora voglio concludere parafrasando le parole dell’allora Mons. Roncalli quando lasciò la nunziatura in Bulgaria per recarsi in Grecia e Repubblica kemalista di Turchia: “Ebbene, ovunque io sia, anche in capo al mondo, se un lambratese o un ortigat passerà davanti alla mia casa troverà sempre alla finestra una candela accesa. Egli potrà battere alla mia porta e gli sarà aperto; sia cattolico, ateo o di un’altra religione, egli potrà entrare e troverà nella mia casa la più calda e la più affettuosa ospitalità“.
Buon cammino!
Don Stefano